Olga

UN APPROCCIO CONDIVISO di Nicoletta Barazzoni – Agorà, 30 maggio 2014

Divorzio. È possibile separarsi o divorziare in modo sereno ed equilibrato, per il bene dei illustrazione Bruno Machadocomponenti della famiglia, senza trascinare per tutta la vita odio e rancore? C’è solo un modo per separarsi (o divorziare) oppure ve ne sono molti tra i quali scegliere?

Il divorzio collaborativo si distingue nettamente dai procedimenti contenziosi di risoluzione delle controversie. Stiamo parlando di un approccio più indolore, attuato attraverso diverse opzioni improntate al dialogo, alla negoziazione ragionata, con un approccio multidisciplinare che chiama in causa anche altre figure professionali come psicologi, consulenti finanziari, specialisti dell’infanzia e operatori sociali. Non bisogna però confondere il divorzio collaborativo con la mediazione. La mediazione si avvale dell’intervento di una terza persona (il mediatore), un professionista imparziale e neutro che non è necessariamente un avvocato. La mediazione concilia le parti, migliorando la qualità della comunicazione ma non risolve gli aspetti giuridici che invece l’avvocato collaborativo può affrontare in specifico. Il divorzio collaborativo si attua con l’intervento di due legali e i rispettivi ex coniugi, che si siedono tutti allo stesso tavolo con finalità univoche. La negoziazione nel divorzio collaborativo è basata infatti sulla ricerca degli interessi reciproci. La partecipazione attiva tra le parti si svolge all’insegna della trasparenza e dell’onestà, con l’obiettivo di far prevalere l’aspetto umano su tutto.

Il ruolo degli avvocati – La pratica collaborativa mette alla prova i professionisti sotto profili che non sono necessariamente considerati dai codici deontologici delle singole categorie. Il divorzio è considerato un fatto giudiziario e dunque l’avvocato esercita la sua professione con diligenza, con coscienza, in conformità all’ordinamento giuridico. Paragonabile per certi aspetti soltanto alla responsabilità che il medico ha verso il paziente, l’etica dell’avvocato non sempre considera l’aspetto legato al vissuto precedente di coloro i quali, fino a poco tempo prima, erano marito e moglie. L’avvocato ha una responsabilità enorme nei confronti del cittadino/cliente che sta patrocinando. Tutelare il cliente e far valere i suoi diritti spesso significa creare un rapporto tra il diritto e il conflitto. Un avvocato bravo è spesso, e purtroppo, sinonimo di persona competitiva e agguerrita, un tecnico che affronta la questione con professionalità e serietà dal profilo giuridico, non tenendo però sempre conto del coinvolgimento affettivo perché quello non è il suo compito. Esistono tuttavia tipologie di avvocati come ci sono tipologie di idraulici, medici, giornalisti o panettieri. È il caso, per esempio, dei professionisti che si formano come mediatori riconosciuti dalla Federazione svizzera degli avvocati proprio per assolvere il loro compito legale mediando tra le parti, con l’intento primario di individuare una soluzione il più indolore possibile per tutti i membri della famiglia.

Sulla figura dell’avvocato – Abbiamo compiuto un mini sondaggio aleatorio tra alcuni divorziati chiedendo cosa pensassero della figura dell’avvocato sulla base della loro personale esperienza. Ecco che cosa ne abbiamo ricavato: “Nulla di più vero del proverbio che recita che tra i due litiganti l’avvocato gode!”; “L’avvocato pensa solo al suo interesse e dopo all’interesse del suo cliente!”; “L’avv. (abbreviazione di avvoltoio) è un professionista d’assalto!”; “Il suo motto è vincere, spennare l’ex coniuge, facendogliela pagare!”; “Esegue il suo mandato a testa bassa per portarsi a casa il bottino migliore!”; “Per lui la relazione affettiva è solo un intralcio!”; “Il nostro avvocato non ha fatto molto e quel poco che ha fatto potevo benissimo farlo da sola!”; “È stata durissima trovare un avvocato disposto a rappresentarci perché tanti studi legali si rifiutano di dare assistenza alle persone povere come noi!”; “L’avvocato è stata una figura indispensabile. Senza di lui non saremmo mai arrivati ad un accordo equo. È anche vero che tira le cause alla lunga per un suo vantaggio economico!”; “Gli avvocati sono la rovina totale della coppia in una situazione già delicata come un divorzio!”; “Per quanto riguarda la mia (lontana) esperienza, dal momento che all’epoca non esisteva la possibilità del divorzio consensuale, l’avvocato (d’accordo con la controparte) è servito a rendere il più semplice possibile la causa!”; “La mia legale mi ha fatto da psicologa ma a un certo punto della causa mi ha abbandonato perché non condivideva i metodi della controparte!”; “Ricordo poco del mio avvocato, se non che mi spingeva a prendermi tutti i miei diritti ma rispettando anche il fatto di non dovermi soffermare troppo a discutere, procrastinando nel tempo il divorzio, così ho dovuto lasciar perdere molti soldi!” ecc.

Olga Anastasi è l’autrice del libro Il divorzio collaborativo (Capponi editore, 2013). È avvocato, vive e lavora ad Ascoli Piceno. È attiva anche in associazioni come Telefono donna e nei centri di accoglienza.

Signora Anastasi, innanzitutto qual è il nucleo originale del divorzio collaborativo, su cosa poggia e che cosa porta di fondamentale?

“Il termine si riferisce a un metodo adottato all’inizio degli anni novanta nel Nord America da avvocati formati, coadiuvati da altri specialisti delle tematiche familiari che mira a risolvere conflitti. Evita le contrapposizioni violente tipiche del metodo giudiziario e previene traumi ai figli coinvolti. È condotto con un processo stragiudiziale, con l’utilizzo di saperi multidisciplinari e tecniche di negoziazione. La minaccia di adire il tribunale è motivo di rinunzia al mandato dell’avvocato collaborativo.”

Cosa si vuole ottenere con questo approccio? E quali sono i passi di tipo pratico da affrontare?

“La negoziazione del conflitto deve tendere al raggiungimento di un accordo siglato dalle parti. In Italia deve essere trasformato in un ricorso congiunto di separazione o divorzio. Nel rivolgersi a un avvocato che pratica il diritto collaborativo è bene chiedere approfondimenti e ulteriori spiegazioni nonché che il proprio coniuge venga contattato con le modalità previste dalle regole collaborative.”

Per quali motivi si dovrebbe optare per un divorzio collaborativo e quali vantaggi porta?

L’attenzione per gli aspetti emotivi e psicologici che di solito sono trascurati. Il processo si trasforma in un’occasione di crescita dell’individuo, la coppia viene indirizzata ad assumere scelte consapevoli nell’interesse del nucleo familiare piuttosto che iniziative dettate dal rancore, dalla paura e dal senso di rivalsa.”

Sembra un approccio di grande interesse, perché allora fa fatica a prendere piede? Forse perché è una sfida etica?

“Dall’entrata in vigore della normativa sull’affidamento condiviso le coppie sono diventate più consce del diritto/dovere alla bigenitorialità, affiora una maggiore disponibilità a superare i rancori e a prevedere soluzioni alternative, a meno che non si discuta di gravi abusi o maltrattamenti. La resistenza è soprattutto culturale, legata al tempo e ai mutamenti che ogni novità richiede. Gli avvocati manifestano una personalità tendente all’individualismo e una formazione basata esclusivamente sulla conoscenza esclusiva delle leggi e della giurisprudenza. Fatica ad attecchire l’idea che l’avvocato debba lavorare in squadra e facendo proprie le conoscenze multidisciplinari.

Christoph Imhoos ha fondato a Ginevra l’Associazione svizzero romanda di diritto collaborativo. È formatore nella gestione dei conflitti, insegna all’università di Ginevra. È mediatore iscritto in vari ambiti professionali, e titolare del Master europeo in mediazione.

Avvocato Imhoos, nella sua pratica ha mai affrontato dei divorzi collaborativi?

“No. Il problema è proprio questo. Molti sono interessati ma nessuno lo vuole fare perché tutti hanno paura. L’approccio al diritto collaborativo implica un cambiamento di paradigma. Questo significa che l’avvocato non ha più il compito di attaccare la parte avversa, ed essere dunque nel contraddittorio, ma è presente non soltanto per sostenere il suo cliente ma anche e soprattutto per tener conto dell’altro cliente, con lo scopo di arrivare a un intento e a un accordo equo, che sia giusto per entrambi. L’avvocato invece di interessarsi unicamente agli interessi del suo cliente analizza anche la parte avversa. Bisogna riconoscere che l’avvocato non è abituato a questa modalità. Con il diritto collaborativo ci si focalizza sulla negoziazione. Tutti gli avvocati dicono: “ma è normale, si cerca sempre di trovare un accordo bonale, siamo sempre in fase di negoziazione prima di andare a processo”. Salvo che nel diritto collaborativo ci sono due cose importanti: non si procede e dunque non si negozia con il metodo classico. Di solito l’avvocato ha l’abitudine di negoziare su posizioni, e questo significa: tu hai la tua posizione, io ho la mia posizione, cerchiamo il compromesso. E questo implica l’abbandono di una parte della propria posizione per trovare un accordo più o meno soddisfacente. Ma più o meno soddisfacente! Nel diritto collaborativo si utilizzano i principi della negoziazione ragionata, che implica l’interesse e i bisogni di entrambi, andando a fondo delle esigenze e delle difficoltà. La missione dell’avvocato è quella di permettere al cliente di esprimere i suoi interessi alla presenza della controparte: cosa voglio, cosa è importante per me, cosa mi ha portato in questa situazione, cosa mi succede se viene presa questa decisione? Si condividono le richieste, con l’analisi dei bisogni e degli interessi reciproci anche se non sono identici. Nel diritto collaborativo si applica lo stesso approccio della mediazione. Sono gli avvocati che sono dei mediatori, che intervengono nelle mediazioni per assistere e aiutare i loro clienti. Il tratto dell’avvocato è quello di consigliare ma anche di sostenere e aiutare nella negoziazione per permettere un confronto a quattro che non sfoci nella lite.”

Pensa che la paura di certi avvocati sia legata non solo al cambiamento di paradigma ma anche a degli interessi finanziari?

“L’avvocato deve cambiare il suo ruolo, non può più monopolizzare la parola e negoziare al posto del cliente ma è presente e si impegna per permettere di trovare un accordo congiunto che sia il più equo possibile. Non lascia spazio alla sensazione di avere dovuto rinunciare a una parte determinante per il futuro. L’avvocato collaborativo è assolutamente cosciente di questo e dunque la paura consiste anche nella consapevolezza che non è facile riempire un ruolo che è molto differente da quello citato inizialmente: ovvero non essere più nel contraddittorio ma essere alla ricerca di un terreno comune sul quale edificare equilibri nuovi e diversi. Molti avvocati lo trovano interessante ma se evidentemente pensano ai loro propri interessi finanziari non è necessariamente lo stesso procedimento. L’avvocato che ha paura perché con questo approccio teme di guadagnare di meno, non si giustifica a medio e lungo termine. C’è un lungo lavoro da fare in questa direzione perché sappiamo bene come un conflitto sia distruttivo per l’intera società.

La responsabilità etica dell’avvocato deve tener conto anche delle istituzioni e della società?

L’avvocato ha una grande influenza perché chi si indirizza a lui gli chiede dei consigli. Se l’avvocato ha una certa etica consiglia utilmente il suo cliente. Ma utilmente, cosa significa? Utilmente dal punto di vista dell’avocato significa rispettare il punto di vista del suo cliente? E la domanda non deve essere forzatamente indirizzata al presupposto del confronto. Se il cliente è in questa logica l’avvocato ha il compito e il dovere etico di interrogarlo sui suoi reali bisogni e interessi. Deve farlo riflettere nel determinare con cognizione di causa, ipotizzando i diversi scenari e i diversi mezzi, come affrontare il processo davanti al giudice. Il processo ha dei costi finanziari, in termini di onorario, ma soprattutto ha dei costi umani.”

Sembrerebbe che l’avvocato non si interessi affatto ai costi umani…

“Direi che certi legali non accordano nessuna importanza alla relazione umana, ai suoi aspetti che non sono ritenuti prioritari. Molto spesso gli avvocati stessi non ne sono completamente coscienti e se lo sono lo sono da lontano e in ultima analisi non li concerne. Tendono a soffermarsi sulla relazione giuridica e sulla parte tecnica e alcuni, nella maggior parte dei casi, non danno assolutamente importanza alla relazione da individuo a individuo, alle implicazioni sociali e affettive per puntare unicamente alla relazione giuridica. L’avvocato gioca un ruolo, è preso dal gioco della giustizia e a volte non se ne rende conto, a detrimento però del suo cliente.”

Nella formazione accademica si impara di più a istigare al conflitto o a essere dei rappresentanti della legge?

“Diciamo che si viene preparati al confronto, all’argomento e al contro argomento, alla capacità di convincere, alla dialettica. L’avvocato collaborativo inserisce un’altra dimensione che rompe degli equilibri che fino a ora sono consolidati. Posso dire che a Ginevra si stanno aprendo nuove evoluzioni. Abbiamo cerato una scuola di avvocatura dove si insegna agli avvocati già formati le tecniche della negoziazione ragionata, cosa significa e come si applica la mediazione, e gli aspetti del diritto collaborativo per spiegare loro che esistono altri modi possibili per dirimere le controversie. Siamo un piccolo gruppo di avvocati che sta cercando di lanciare questo procedimento, ma dopo mesi di discussione alla fine mi sono ritrovato solo. La maggior parte degli avvocati non sono pronti a firmare un contratto di partecipazione tra le parti. Bisogna formare i giovani avvocati a questo approccio. Ci sono troppi avvocati, in genere ci si schiera tra fazioni, invece di lavorare insieme per il bene di tutti.

Note – Il divorzio collaborativo è nato in America e si sta diffondendo con una certa rilevanza ma a fatica anche in Europa. La pratica collaborativa ha avuto inizio in Svizzera nel 2004. Vi sono oltre sette soci IACP e due gruppi di lavoro in tutto il paese. Gli avvocati praticanti di diritto collaborativo in Svizzera vantano un’esperienza collettiva pluriennale in materia di divorzio, separazione e altre questioni relative al diritto di famiglia. Tutti i soci IACP condividono la convinzione profondamente radicata che la pratica collaborativa offra l’opportunità di risolvere le controversie legali in modo rispettoso e dignitoso (collaborativepractice.com/public/about/resources-for-thepublic/ collaborative-practice-groups-around-the-world/switzerland.aspx; collaborativedivorce.net/history-of-collaborative-divorce/). – In Ticino si possono trovare avvocati formati nella mediazione. Online è disponibile una lista dei mediatori in Ticino con titolo riconosciuto dalla Federazione svizzera degli avvocati: mediatori-ti.ch/cms/fileadmin/Dokumente_CMTI

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