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COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? di Stefania Lattuille

Che cos’è l’Open Space Technology, ovvero, usando l’acronimo –più in voga- che cos’è l’OST?  In prima battuta si può definire l’OST come un METODO che consente di gestire incontri e riunioni in modo semplice ed efficace, aumentandone la produttività.

Cosa ha di speciale l’Ost? Tra tutti i vari metodi per facilitare la partecipazione e l’inclusione dei partecipanti nelle decisioni (tra gli altri, il Forum, l’ETM, il World Cafè, l’Action Planning), l’OST è di sicuro quello che ha avuto maggiore diffusione nei cinque continenti.

Negli ultimi trent’anni si è diffuso in tutto il mondo in modo sorprendente, tanto più che inizialmente la diffusione è avvenuta sulla base del principio “chi lo prova lo rifà”.

Ad oggi, milioni di persone hanno lavorato con la metodologia dell’Ost, che è stato adottato per gestire incontri da 5 a 2000 persone, sia in ambito pubblico che aziendale, e per trattare i temi più svariati: dalla progettazione di prodotti a cambiamenti organizzativi, dallo sviluppo di comunità alla riqualificazione ambientale.

Basti vedere il sito www.openspaceworld.org.

Ma come è nato? L’OST nasce negli anni ‘80 dalla constatazione di un antropologo prestato alla consulenza aziendale, Harrison Owen, secondo cui, al termine di una conferenza internazionale con 250 partecipanti, tutti – Owen compreso – concordavano sul fatto che i momenti più utili della conferenza erano stati i coffee break.

Considerata la mole di lavoro che ci vuole per organizzare una conferenza internazionale per 250 persone, la riflessione era di per sé depressiva, ma Owen invece, pare grazie anche ad un paio di Martini, si mise a ragionare sul perché.

Ora, come sappiamo, nelle pause caffè i partecipanti sono liberi di conversare con chi vogliono, per il tempo che ritengono opportuno e su problemi di loro interesse, nonché di scambiarsi biglietti da visita, idee e proposte. Per questo è ritenuto uno spazio vivo e interessante all’interno dei barbosi convegni organizzati in modo classico in cui si ascoltano relatori seduti in file rivolte verso il podio.

Da qui la domanda di Owen: “è possibile organizzare una conferenza con le dinamiche e la vitalità tipiche di un coffee break?”. Risposta: sì riproducendo i meccanismi di base della pausa caffè.

E allora cosa si è inventato Owen?

Anzitutto l’esperienza di antropologo/giornalista di Owen fu molto utile: si ricordò infatti di quando lavorava in Africa ed aveva assistito ai riti di passaggio all’età adulta degli adolescenti dei villaggi con feste articolate in cerimoniali aventi determinate caratteristiche: lo spazio vuoto circolare al centro del villaggio nel quale i danzatori confluivano durante cerimonie gioiose e l’abitudine di sedervisi in cerchio ogni volta c’era un problema da affrontare.

Dall’esperienza africana, Owen utilizzò il concetto di spazio aperto e di cerchio come forma geometrica fondamentale della comunicazione umana paritetica (dice Owen: “non è un caso se si dice un cerchio di amici e quanto sia piacevole rifugiarsi nella propria cerchia familiare”).

Quindi, primo, predisporre delle sedie in cerchio e farvici sedere persone interessate ad un dato tema.

Ma poi, si chiese Owen, come si decide di cosa ognuno può parlare, con chi e per quanto tempo?

E qui gli venne in mente una bacheca vuota da utilizzare per definire i contenuti e il programma dei lavori, come modo semplice ed efficace di rendere visibili le cose che interessano alle persone.

Ognuno può alzarsi, scrivere il titolo del tema che vuole trattare e appenderlo alla bacheca per poi trovarsi con coloro che vogliono condividere quell’interesse.

Per il quando e dove riunirsi, Owen pensò al fervore di un mercato indigeno come luogo in cui gli interessi delle persone si incontrano, dove la gente si incontra, va a bere qualcosa, si mette in un angolo a contrattare o a scambiarsi notizie.

 Ecco che era nato l’OST: sedersi in cerchio, creare una grande bacheca, aprire le trattative per decidere dove e quando trovarsi, iniziare a lavorare insieme suddivisi in gruppi.

I seminari organizzati secondo la metodologia OST non hanno infatti relatori invitati a parlare, non hanno programmi predefiniti o un’organizzazione predeterminata.

Al contrario, i partecipanti, seduti in un ampio cerchio, apprendono nell’arco della prima mezz’ora come faranno a creare il proprio forum. Il facilitatore si limita a presentare il tema da discutere e spiegare che il muro vuoto nella stanza rappresenta il programma del lavoro e che sarà costruito sul momento dai partecipanti stessi.

Chiunque intenda proporre un tema per il quale prova un sincero interesse, si alza in piedi e lo annuncia la gruppo, assumendosi la responsabilità di seguire la discussione e di scriverne un breve resoconto, dopodichè affigge in bacheca il titolo del tema e così via finchè il gruppo riempie la bacheca con tutte le sue proposte.

Quando i temi sono esauriti, tutti potranno osservare i vari argomenti emersi e decidere a quale gruppo unirsi. I gruppi formati si autogestiscono e producono, una volta esauriti gli argomenti di discussione, un report che unito a quello degli altri andrà a formare il cd. Instant Report di fine lavori.

Al termine della giornata è prevista la sessione di chiusura (oppure una sessione di aggiornamento dei lavori se l’OST è suddiviso in più giornate) e di solito l’OST si conclude con un rituale finale che dà la possibilità ai partecipanti di riflettere sull’esperienza fatta. Il tutto basato sui principi dell’informalità e dell’autorganizzazione.

Strumenti come l’OST creano non solo un clima di grande energia ma proprio nuove forme di relazione (che siano i cittadini chiamati a parteciparvi nell’ambito di un processo partecipativo o i partecipanti ad un incontro su un tema che interessa loro) basate su una diversa distribuzione dell’opportunità di parola, sul confronto tra pari, sulla valorizzazione delle diverse esperienze e la condivisione delle informazioni ed esperienze.

 L’OST quindi in realtà non è un metodo fantasioso per animare convegni, ma è molto di più: è un nuovo modo di guardare al lavoro di gruppo, “una sorta di esperimento sociale”! http://milanosservatorio.it/wp-content/uploads/2016/04/OSSERVATORI-ASS-MILANO-REPORT-OST-UDIENZA-CIVILE-DEF.pdf

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