Olga

AVANGUARDIA E RIVOLUZIONE

L’insieme dei principi generali posti a fondamento del Diritto, apparentemente fermi, risentono invece dei cambiamenti profondi della coscienza del mondo, delle richieste della società, delle evoluzioni che gli esseri umani, in quanto viventi, quasi impongono alle proprie istituzioni. Questo movimento creativo genera anche l’allargamento delle ramificazioni dei rapporti che l’Arte e il Diritto instaurano con le altre discipline, producendo relazioni esterne ai loro campi specifici (mi piace ricordare che Wassily Kandinskij, “inventore” e codificatore dell’astrattismo in pittura, divenne artista dopo la laurea in legge e che Henri Matisse intraprese la carriera artistica partendo dallo studio del diritto).

La riflessione sui fondamenti del Diritto, sull’idea di giustizia e sulla natura della legge, costituisce il perenne sfondo filosofico entro cui il giurista deve muoversi per consentire il crescere di una forma razionale che funga da modello alle diverse applicazioni. Ciò che interessa, infatti, non è solo la verità del Diritto, ma i suoi rapporti con la società e la morale, in continua metamorfosi. Lo studio dell’Arte e lo studio del Diritto comportano oggi più che mai, da questo punto di vista, una interrelazione strettissima tra campi disciplinari apparentemente non tangenti. L’INTERDISCIPLINARIETÀ è la metodologia di un approccio corretto e professionale a qualsivoglia settore di studio che guardi agli sviluppi della scienza, della medicina, della fisica, della tecnologia. Una delle novità del Diritto Collaborativo, e che Olga Anastasi vuole divulgare, si fonda sulla complessità della relazione tra i vari campi disciplinari che concorrono alla riuscita del Metodo.

Nello studio della Storia dell’arte la complessità e la varietà di quegli oggetti così speciali che chiamiamo opere d’arte richiede, nell’analisi e nella comprensione, l’affidarsi ad una visione più ampia e eterogenea che renda conto del contesto, dello spirito del tempo, dei cambiamenti generali nei modi del pensare. Si esige quindi che i metodi e gli strumenti varchino il confine territoriale della disciplina e si accostino alla matematica e alla fisica, alla musica come alla filosofia, alla biologia e alle scienze sociali e psicologiche, spesso alla religione. A mio giudizio, esempio perfetto di questo modo di operare è l’edizione del 2013 della Biennale d’Arte di Venezia, curata da un giovane critico e storico dell’arte, Massimiliano Gioni, e intitolata Il Palazzo Enciclopedico. La mostra si apriva, prendendo ispirazione e indirizzo, con l’esposizione del Libro rosso di Jung e di molte delle tavole a colori disegnate dallo psicanalista).[1]

Gli artisti, si sa, rompono il muro del silenzio e sfidano i tempi con coraggio e azzardo, scardinando l’ordine prestabilito e interrompendo il flusso della normalità, così come osò fare l’arte delle avanguardie del Novecento e come continua a fare ancora oggi, costringendo spettatori, critici e specialisti a pensare in modo inusuale, a volte così ardito da risultare scandaloso, compreso solo a posteriori. Ci misuriamo così col più grande cimento e cerchiamo le parole: l’opera d’arte ci svela la sua capacità di parlare del mondo in termini tanto diversi da quelli che usiamo nelle nostre relazioni quotidiane e rende manifesta la vera natura delle cose, ne anticipa e ne chiarisce il senso, quello originario e più inaccessibile.

Con la stessa forza anche il Diritto Collaborativo è un MODO SPECIALE DI PENSARE,[2] di cambiare se stessi insieme al mondo, non possiede la certezza dell’applicazione ma si presenta come l’unico percorso possibile, oggi, per realizzare la sintesi tra l’astrattezza della legge e la concretezza del caso particolare in materia di separazione.

Essere contemporanei, cosa richiesta sia all’artista che a colui che giudica o redige le norme che regolano da vicino le relazioni umane più sensibili, vuol dire non coincidere perfettamente col proprio tempo, ma essere in grado di percepire il buio del presente per afferrarne l’essenza. Scrive Giorgio Agamben: “La contemporaneità è una singolare relazione che aderisce al proprio tempo e, insieme, ne prende le distanze. […] Coloro che coincidono troppo pienamente con la loro epoca […] combaciando perfettamente con essa in ogni punto, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla. […] Per esperire la contemporaneità è invece necessario quello scarto che consente di scorgere l’ineffabile e contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra proveniente dal suo tempo.”[3]

[1] 55a Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, Il Palazzo Enciclopedico, a cura di Massimiliano Gioni, Padiglione Italia, Venezia 2013.

[2] Harold Rosenberg, L’arte è un modo speciale di pensare, Torino 2000.

[3] Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo, Roma 2008. Il testo è la lezione inaugurale del corso di Filosofia Teoretica tenuto dall’autore presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia, anno accademico 2006-2007, folgorante esempio di come si possa affrontare la questione della contemporaneità con capacità immaginifica e insieme rigore filosofico.

Paola Pallotta “Arte e diritto, la bellezza delle relazioni umane” in Olga Anastasi, “IL DIVORZIO COLLABORATIVO” 2014  © Riproduzione riservata

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